Teatro

A Berlino il Cendrillon di Massenet

A Berlino il Cendrillon di Massenet

Debutta alla Komische Oper il talentuoso Damiano Michieletto con una versione convincente dell'opera di Massenet ambientata nel mondo del balletto.

Doppio debutto alla Komische Oper di Berlino per Cendrillon di Jules Massenet, opera mai rappresentata nella capitale, e per Damiano Michieletto, il giovane regista veneziano che dopo i recenti successi londinesi (e non solo) si sta sempre più affermando all’estero come il regista italiano a cui guardare per il nuovo teatro d’opera, artista che noi seguiamo da tempo con molta stima.

Cendrillon, al di fuori della Francia e a eccezione di qualche produzione che ne ha favorito la divulgazione (prima fra tutte quella del Covent Garden del 2011 cucita su misura sulla star Joyce DiDonato), è un’opera raramente rappresentata sui palcoscenici internazionali; dal punto di vista drammaturgico è meno concisa di quella di Rossini e gli spunti drammatici sono un po’ deboli; il suo fascino (e pure il suo limite) risiedono in un’atmosfera impalpabile e sfumata, molto francese, oscillante fra ironia e malinconia e, come sempre avviene in Massenet, è pervasa da poesia e tenerezza. Il libretto di Henri Cain, diversamente dalla Cenerentola di Rossini, si attiene maggiormente  alla favola di Perrault, dona particolare rilievo alla dolente figura del padre e introduce un lungo sogno in cui Cendrillon rincontra il Principe nel bosco.

In sede di rappresentazione il rischio di scivolare in un kitsch zuccheroso o disneyano è forte, ma non è il caso di Damiano Michieletto, le cui scelte registiche sono solitamente più che amare. Il regista ambienta la vicenda nel mondo della danza classica (contesto peraltro molto francese): Cendrillon e il Principe sono due étoiles ma la protagonista (in un antefatto che verrà messo in scena durante il sogno), danzando un periglioso pas de deux, è caduta e non può più danzare. La regia segue quindi in parallelo i destini dei due protagonisti: Lucette (ovvero Cendrillon) che giace in un letto d’ospedale disperata perché ha una gamba spezzata  e il Principe, a cui il Re (padre –padrone qui manager teatrale) impone di scegliere una prima ballerina nella scuola di danza tenuta da Madame de la Haltière, l’imperiosa matrigna che sogna per le figlie sgraziate un destino da star della danza.

La situazione contribuisce a rendere i caratteri dei due protagonisti dolenti e sfaccettati e risulta ben funzionale la scena ideata da Paolo Fantin che, con minime trasformazioni a vista (bianchi tendaggi coprono la parete con gli specchi e la sbarra), sposta con la velocità che si addice a una favola l’ambientazione dalla scuola da ballo alla stanza d’ospedale. Tutti accennano  passi di danza: il coro maschile in tutù azzurrini  e le sorellastre impegnate in una lotta all’ultimo sangue per vincere un casting grottesco, la matrigna che batte il tempo col bastone, Cendrillon che non si regge in piedi ma accenna con le braccia armoniose figure. Michieletto rende umano l’elemento fiabesco, la fata e gli spiriti sono donne di mezza età e buon cuore che partecipano emotivamente al destino della protagonista, come la sarta curva e dimessa, figura ricorrente nella produzione, che, oltre a cucire le scarpette e l’abito da ballo, getta una polverina argentea per generare sogno e magia. Cendrillon, magicamente guarita, in scarpette e tutù danza col Principe fino a che al rintocco della mezzanotte il letto d’ospedale riappare per portarla via e si suiciderebbe con i medicinali se non fosse per la vecchia che con un soffio glitterato la addormenta. E la scena del sogno nel bosco, con le quinte sagomate che calano dall’alto per creare la giusta cornice nella migliore tradizione del balletto classico, mette in scena, oltre a Cendrillon zoppa e il Principe che (senza vedersi) si giurano amore, i loro doppi ballerini e in particolare la rovinosa caduta della ballerina che, come una bambola rotta, viene portata via da un servo di scena in una nuvola di tulle.

Danza e sogno sono le costanti dell’allestimento e, prima che si concluda l’opera, assistiamo al “sogno” della matrigna che vede allo specchio il proprio doppio indossare la fatidica scarpetta. Ma il vero finale, non del tutto happy,  è la scelta d’amore del Principe che, sotto lo scherno  degli astanti, abbraccia Cendrillon zoppa gettando via, insieme alle scarpette, ogni progetto di gloria. 

Se lo spettacolo di Michieletto funziona si deve anche alle doti sceniche, e in particolare coreutiche (la coreografia è di Sabine Franz), di tutto il cast, coro compreso. Nadja Mchantaf ha praticato a lungo la danza classica e la sua Cendrillon è credibile sia sulle punte che nella rappresentazione di un sogno infranto, come peraltro esprime il canto toccante della sua  aria di ingresso Reste au foyer, petit grillon; la voce ha bel timbro e una morbidezza che si addice alla malinconia voluta da Massenet. Come previsto dalla versione originale il ruolo del Prince charmant, anziché a un tenore, è interpretato da un mezzosoprano, Karolina Gumos, dalla fisicità androgina particolarmente adatta al ruolo en travesti: la voce è ben equilibrata, agile e dai riflessi scuri che lasciano intuire il male di vivere del principe.  Da seguire la norvegese Mari Eriksmoen, una Fata che ci ha piacevolmente colpito per l’elegante virtuosismo dei gorgheggi. In Cendrillon il padre ha un ruolo centrale e il Pandolphe del belga Werner Van Mechelen è quello che maggiormente convince per idiomaticità e dizione: oltre a essere un cantante eccellente si è rivelato efficace nella rappresentazione del padre tenero e dolente. Dall’indubbia vis comica, anche se la voce non è sempre a fuoco, la matrigna pomposa e tirannica di Agnes Zwierko, caricatura di una ex –danzatrice russa. Divertenti le due sgraziate sorellastre, stupide e cattive comme il faut: Mirka Wagner è Noémie, mentre Zoe Kissa interpreta Dorothée. Il Re/impresario con sciarpa rossa è Carsten Sabrowsky. Concludono il cast il terzetto di giudici del casting Christoph Spaeth, Nikola Ivanov e Philipp Meierhofer.

Il direttore musicale della Komische Oper Henrik Nanasi imprime buon senso narrativo e mette in rilievo i registri diversi (farsa, elegia, fiaba) di un’opera che ha la natura  di un pastiche ma sottolinea un po’ troppo e si perde quella peculiare “tinta” propria di Massenet, fatta di trasparenze perlacee e delicate sfumature cineree.

Ottima accoglienza alla prima festeggiata da un pubblico numeroso  (nonostante il contemporaneo debutto della nazionale tedesca agli europei)  che ha tributato lunghissimi applausi a tutti.